Il debutto in società di quel pazzo di Bernardo

Il debutto in società di San Bernardo fu un capolavoro. A ventun’anni, subito dopo aver deciso che si sarebbe rinchiuso in quella palude che era il monastero di Citeaux, abitato all’epoca da pochi monaci osservanti un regime di vita durissimo, considerò che non era sufficientemente pazzo da andarci da solo. Allora salì in groppa al suo cavallo e si lanciò al galoppò in cerca delle persone a cui voleva più bene.

Adesso immaginatevi questa scena. Immaginatevi una cittadina posta su un’altura ben fortificata, dalla cui sommità si intravedono i riflessi delle acque del lago di Ginevra, quel piccolo mare che spunta fuori dai ghiacciai alpini. Immaginatevi anche la popolazione di questo borgo assiepata entro le mura, al riparo nelle case, intenta a fare i conti delle provviste con le orecchie tese in ascolto degli ordini gridati dai bastioni. Cinquecento metri più in basso, nella vallata ai piedi della rocca, un esercito si prepara a dare battaglia. I palafrenieri riposano intorno ai bivacchi accesi, carpentieri e falegnami si affannano per rifinire scale e marchingegni d’assalto, mentre da qualche angolo lontano dell’accampamento arrivano i colpi ritmati di quache fabbro. Un carro zeppo di vettovaglie scivola silenziosamente scansando i cavalieri accovacciati nella notte, intenti a far la pesa delle buone e delle cattive azioni compiute fin lì. I capi della battaglia tengono l’ultimo consiglio: il piano è stabilito. Tra due ore, allo spuntare delle prime luci dell’alba, verrà lanciato l’ordine d’attacco.

E’ in questo momento, mentre i comandanti stanno impartendo gli ultimi ordini alla truppa, mentre i preparativi sono al culmine e gli uomini sperimentano quel misto di eccitazione e sgomento all’idea della battaglia, è in questo preciso momento che irrompe nell’accampamento un giovanotto di ventun’anni, capelli rosso fuoco, viso smilzo e guance imberbi, che davanti agli sguardi increduli di molti, si rivolge ai cavalieri lì radunati pronunciando più o meno queste parole: esiste una battaglia più grande di quella a cui vi state accingendo, esiste una lotta più nobile da intraprendere, esiste un Re più grande da servire, esiste un nemico più infido di quello che si nasconde sopra quell’altura, esiste una sola strada per diventare veri uomini e se verrete con me la percorreremo insieme.

Ebbene il nome di quel ragazzo, l’avrete capito, era Bernardo, e non solo uscì tutto intero da quel teatro di guerra, ma portò con sé circa trenta persone tra guerrieri veterani e il fior fiore della cavalleria di Borgogna. Insieme a quella nuova compagnia si diresse a nord-ovest, verso i pantani di Citeaux, per bussare alle porte di un piccolo monastero cistercense prossimo alla chiusura. Quei cavalieri andavano a farsi monaci. Si capì quel giorno che la pazzia di Bernardo era di un genere contagioso. Il vettore di contagio era la sua gioia, una gioia trovata e custodita per sempre. Chi è gioioso o è scemo o ha trovato qualcosa. A tutti sembrò che Bernardo non fosse scemo e decisero che valeva la pena scommettere la vita per capire cosa avesse trovato.

Guardare la vita del monaco alla luce della ragione potrà farla apparire una pazzia, ma se la guardiamo come risposta al “Vieni e seguimi” di Cristo allora apparirà come la sapienza più alta. O la vita è Qualcuno, oppure è un lento e stupido suicidio. E’ questa l’evidenza che inquietò il giovane Bernardo. Se noi consideriamo questa nostra esistenza come un vivere, non siamo che dei pazzi, perché la vita passerà e i nostri occhi si chiuderanno per sempre; ma se invece consideriamo la vita un amare Dio e un vivere in lui, con lui e per lui, allora possiamo cantare e morire, se necessario, con un sorriso sulle labbra e un canto nel cuore. Lui provvederà a noi, ora e sempre.

Estratto dal libretto Bernardo, il capolavoro di Dio, a cura di Renato Calvanese